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Letizia Jaccheri: l’informatica al servizio dell’inclusione

Talvolta l’importanza delle mete raggiunte in ambito professionale e sociale va di pari passo con la modestia e la simpatia. Ed è in queste occasioni, probabilmente, che ci si trova di fronte alle persone più interessanti, quelle che più di altre meritano di essere raccontate.

Letizia Jaccheri è un’informatica di levatura internazionale. Dal 2002 è full professor (professoressa ordinaria) alla prestigiosa Norwegian University of Science and Technology (NTNU) di Trondheim, rinomata per gli studi scientifici, dove insegna ingegneria del software.

I suoi interessi coprono però un’aerea molto estesa dell’informatica, comprendendo l’interazione tra computer e bambino, l’intrattenimento e, soprattutto, le questioni di genere nella scienza. Lavora inoltre in numerosi progetti di ricerca interdisciplinari che coniugano metodi d’indagine tradizionali e innovativi, tra i quali figurano le revisioni della letteratura, gli studi qualitativi e quantitativi e la ricerca attiva (action research). Le sue attività mirano a potenziare la ricerca mediante il dialogo tra le discipline.

La rilevanza dei risultati della sua attività professionale permette già di farsi un’idea della lunga strada percorsa dagli studi liceali condotti a Pisa, la sua città natale, seguiti dalla laurea conseguita con una tesi di ingegneria del software all’Università di Pisa. Ma la vera svolta della sua vita, non solo professionale, avviene nel 1989, quando, dopo una breve permanenza al Politecnico di Torino, si reca in Norvegia per seguire quello che considera – insieme al suo relatore, il Professor Vincenzo Ambriola, che l’ha spronata ad andare all’estero – un vero e proprio mentore, nonché uno dei padri dell’ingegneria del software a livello internazionale, il Professor Reidar Conradi.

In Norvegia trova un ambiente accademico fertile e dinamico, caratterizzato già allora da una spiccata internazionalizzazione e da una sensibilità particolare, e per certi versi ante litteram, rispetto a tematiche sociali come la parità di genere nei luoghi di lavoro e di potere.

Caratteristica, quest’ultima, che ha sorpreso e allo stesso tempo affascinato la giovane ricercatrice. Ricorda ancora con stupore che il Professor Reidar Conradi era “ossessionato dal gender gap nel mondo dell’informatica già nel 1989”. Se a spingerla sino al freddo artico norvegese – insegna anche all’Università di Tromsø, la più a Nord del mondo – è stata la precisa volontà di seguire un maestro, ciò che l’ha convinta a rimanere ci riporta ad un’altra variabile fondamentale nella vita, certo meno pianificabile della carriera lavorativa.

Quando le si chiede cosa l’abbia convinta a stabilirsi in Norvegia, infatti, risponde: “Beh, semplicemente l’amore. Ho sposato un norvegese”.

Il 6 maggio scorso, la Professoressa Jaccheri è stata la prima persona non norvegese ad essere insignita del premio Norwegian Oda Award, assegnato a individui e organizzazioni che contribuiscono in modo mirato e consapevole ad incrementare la diversità e la parità di genere nel mondo della scienza e della tecnologia.
L’associazione no-profit ODA, con sede in Norvegia, è il principale luogo d’incontro per le donne attive nel mondo della tecnologia nei paesi nordici; essa ha più di 10.000 membri e 50 partner strategici. Il network che le dà vita si pone l’obiettivo concreto di raggiungere una quota del 40% di donne impiegate in questo settore e di contribuire a realizzare i vantaggi che una corretta valorizzazione della diversità comporta. Con gli ODA Awards si intende quindi onorare donne, uomini e organizzazioni che si affermano come modelli (role models) nel percorso verso una vera e compiuta inclusione, impegnandosi e lavorando per l’uguaglianza di genere nella scienza e nella tecnologia all’insegna dei quattro valori fondativi: ispirazione, coraggio, empowerment e passione.
Un passo delle motivazioni a corredo della sua premiazione recita: “Attraverso il suo lavoro nel mondo accademico e nell’informatica, Letizia ispira le giovani appassionate di tecnologia. È nota per sostenere ed aiutare le donne a cogliere le migliori opportunità e a guidare il cambiamento”.

La Professoressa Jaccheri preferisce che ci si rivolga a lei con il suo nome proprio: “Nella mia università sono l’unica a chiamarmi Letizia. Basta il mio nome per essere sicuri di riferirsi a me”.

Quest’atteggiamento di cordiale understatement, improntato al pragmatismo, traspare con decisione dalle sue parole. È forse un riflesso della sua filosofia, che lascia alle azioni e ai risultati, e non alle parole, il compito di dimostrare il valore dei suoi progetti: che essi riguardino lo sviluppo dei software o il progresso e le conquiste sociali sembra fare poca differenza.

Tra le attività che la vedono come protagonista, o delle quali è promotrice, secondo il suo stesso parere quella che più le è valso questo importante riconoscimento è stata l’iniziativa IDUN che ha promosso e coordinato all’interno dell’università di Trondheim per incrementare il numero di studentesse iscritte a informatica e, parallelamente, quello delle docenti donne.

Più volte ribadisce che questi progetti sono fondamentali ma non bastano. È essenziale agire anche sul piano della comunicazione, per permettere alle giovani donne di essere pienamente consapevoli delle opportunità che oggi possono cogliere e delle disparità contro cui è doveroso continuare a combattere.
Inoltre, la Professoressa Jaccheri ritiene essenziale che le ragazze che iniziano a lavorare o a studiare in questo settore possano avere persone a cui ispirarsi e, possibilmente, appoggiarsi nel loro percorso. Modelli di riferimento (role models), professoresse o ricercatrici, donne che ce l’hanno fatta, insomma. La speranza, infatti, spesso è rafforzata dagli esempi concreti di vita e di carriera, più che dalle statistiche o dagli studi sociologici. E senza speranza le cose non (si) cambiano.

Quando le viene chiesto quali consigli si sente di dare alle giovani che si accingono ad intraprendere gli studi universitari, risponde invitandole innanzitutto a includere l’informatica nel novero delle possibili scelte. Quello che bisogna evitare è che venga scartata a priori per un bias di carattere cognitivo o per generica diffidenza. Anche per questo l’aspetto comunicativo è irrinunciabile. Allo stesso tempo, tuttavia, per avere successo ed esercitare una professione soddisfacente è fondamentale selezionare la disciplina per cui si ha più slancio, quella per cui ci si sente più portati. “Bisogna studiare quello che ci piace! E all’informatica bisogna avvicinarsi in modo gioioso”, chiosa con la franchezza che la contraddistingue.

Grazie alla sua esperienza di italiana che ha messo le radici in Norvegia, il suo punto di osservazione è prezioso anche per capire quali siano le differenze tra i due Paesi per quanto riguarda il ruolo delle donne nella scienza e, in particolare, nell’informatica. Come sempre, la Professoressa parte dai dati, secondo i quali anche in Norvegia, descritta nell’immaginario collettivo come il Paese delle pari opportunità per eccellenza, la situazione in ambito scientifico è lontana dall’essere ottimale. Su tutte, la percentuale di donne ordinarie nei settori scientifici si ferma al 14%.

Nonostante questo, si dice speranzosa e fiduciosa, poiché sono tanti i progetti a livello internazionale e nazionale che puntano alla parità di genere. Grazie all’iniziativa ADA, per esempio, v’è stato un notevole incremento del numero di donne iscritte al corso di computer science dell’NTNU, per altro uno dei più prestigiosi e ambiti; se nel 2000 la percentuale di donne era del 6%, quest’anno è stata del 25%. Da questi numeri grezzi, la Professoressa Jaccheri introduce una riflessione molto interessante, legata ai sistemi educativi dei due Paesi. In Italia ci sono tante donne eccellenti e molto competenti, più che in Norvegia, ma il livello medio è più basso. Secondo l’informatica, questa dinamica è dovuta, in buona misura, all’impronta sociale universalistica del modello di welfare norvegese – e, più in generale, scandinavo – che copre gran parte delle spese per l’istruzione terziaria mediante la fiscalità generale. Questo rende più efficiente ed effettivo il meccanismo delle pari opportunità, che in Italia sconta ancora alcune importanti deficienze, tra cui il fatto che i costi per l’istruzione universitaria ricadano pesantemente sulle famiglie.

Nel complesso, il progresso si vede ma c’è ancora molto lavoro da fare. Secondo Letizia, i motivi di questa carenza sono da ricercarsi, almeno in parte, nell’alone di diffidenza e mistero che ancora permea il mondo dell’informatica per alcune donne. Sicuramente, quindi, questo scoglio culturale andrà superato mediante un’opera di comunicazione e testimonianza costante e, soprattutto, con un salto di qualità nell’educazione e nell’istruzione delle nuove generazioni. Si tratterà di piccole rivoluzioni nel modo di raccontare le donne e l’informatica e le donne nell’informatica. Ma sarà importante anche non sacrificare lo spirito inventivo e la predisposizione femminile per la tecnologia fin dalla più giovane età. “Banalmente, quando ero piccola piuttosto che regalarmi solo le bambole, perché non mi hanno fornito anche dei lego?”, si chiede con il caratteristico piglio toscano.

Letizia Jaccheri è un’italiana illustre, adottata dalla Norvegia, che tanto le ha dato. Con la concretezza tipica dei migliori scienziati (e delle migliori scienziate) ha messo la sua esperienza e il suo acume al servizio dell’inclusione e delle pari opportunità. Ad esserle grati ci sono due Paesi, Italia e Norvegia, e, soprattutto, un folto gruppo di studentesse e studenti di NTNU, la Norwegian University of Science and Technology.